mercoledì 10 settembre 2008

Acuta riflessione controcorrente di una docente dell'Università Politecnica delle Marche sullo stato infrastrutturale delle Marche

Articolo comparso sul Corriere adriatico, 2-9-08

L’uovo, la gallina e lo zabaione

L’ETERNO dilemma dell’uovo o la gallina, nelle Marche è stato risolto. Non c’è dubbio. L’industrializzazione diffusa e la specializzazione in settori tradizionali - settori in cui le lavorazioni erano spesso svolte a domicilio - hanno indotto fin dagli anni Settanta una rete di trasporto stradale “su misura”. Siamo terzi in Italia per chilometri di strade locali ogni 100 mila abitanti (Il Sole24 Ore, 1 settembre). Scendiamo in graduatoria via via che le strade si fanno più grandi. Alle Marche, dunque, non sono servite. E il reticolo di strade che le ricopre ha avuto un grande vantaggio: un basso impatto ambientale. Insomma, è proprio il caso di dire che il nostro benamato modello di sviluppo ci ha almeno in parte preservato dallo scempio paesaggistico.Uno scempio inutile, tra l’altro. Da più parti è stato infatti dimostrato che l’infrastruttura stradale o di trasporto - di per sé - non fa sviluppo (Romeo Danielis; lavoce.info, 5 giugno 2008). L’infrastruttura, per esempio la famosa Quadrilatero, può infatti indurre effetti addirittura svantaggiosi per l’economia locale. Ad esempio, la riorganizzazione della logistica aziendale che - esauriti i positivi effetti di uno sviluppo distrettuale autoctono - va a vantaggio di luoghi lontani. Si importano più agevolmente prodotti e semilavorati, magari in quei luoghi fabbricati, senza che questo significativamente incida sulla competitività di lungo periodo delle imprese locali, come le recenti disavventure di alcune importanti imprese marchigiane dimostrano. Peggio ancora. In regime di vincoli alla espansione delle costruzioni, e grazie alla valorizzazione urbanistica, l’infrastruttura viaria certamente sostiene le rendite di quei pochi fortunati - o lungimiranti - proprietari che possiedono i terreni limitrofi. Un pesante costo sociale per le sperequazioni distributive che determina.Come sottolineato nel Libro Bianco presentato al Dipartimento dei Trasporti Usa (Lakshmanan-Anderson, Trasportation Infrastructure, Freight Service Sector and Economic Growth, gennaio, 2002), l’infrastruttura amplia poi il bacino da cui le imprese “pescano” manodopera. I salari nelle aree che la ricevono si ribassano, quelli delle aree che la cedono, crescono. Classico esempio, la Romania, ormai priva di lavoratori, dove i salari stanno rapidamente crescendo.La stessa migliore accessibilità alla zona può costituire un problema. Le imprese esterne, non più penalizzate da un’accessibilità difficoltosa, ne possono trarre grande vantaggio. Nel nostro piccolo, le vicende del porto di Ancona lo confermano: sempre più pattumiera dell’Adriatico grazie allo smistamento stradale di prodotti inquinanti e ad alto impatto ambientale. Si avvantaggiano le imprese esterne di maggiori dimensioni; quelle che godono di economie di scala, di più agevole accesso a risorse naturali e materie prime (si pensi alle imprese dei nostri settori tradizionali dei paesi dell’Est o emergenti), con maggiore disponibilità di manodopera a basso costo a parità di produttività. Insomma, costruire una nuova infrastruttura viaria, un aeroporto, un interporto, un porto a volte può significare non già sviluppo ma rapido declino dell’apparato produttivo dell’area. Pochi però, soprattutto tra i pubblici amministratori, sembrano rendersene conto. Il vecchio stereotipo dell’impresa anni Settanta e il ruolo inutilmente “industrialista” della politica è una cultura dura a morire.Declino possibile che invece potrebbe essere contrastato se i pubblici amministratori dalla favola delle strade che portano sviluppo o che snelliscono il traffico che - com’è stato dimostrato - invece sempre inducono, passassero a considerare il versante “benessere, costi sociali e sprechi collettivi”. Le Marche non godono di una rete ferroviaria appena accettabile: sedicesime nella graduatoria delle regioni italiane. E ciò significa alti costi per i cittadini e la collettività. Non esistono, né a livello locale né regionale, piani per la mobilità degni di questo nome. E il piano per i trasporti pubblici, recentemente presentato (6 giugno), è solo un puzzle che, come di consueto, mette qualche pezza qua e là. Siamo una regione tragicamente da sottosviluppo per la depurazione delle acque e la rete elettrica. Due misure di rilievo dei costi sociali. L’aeroporto è un costoso giocattolo inutile, a guardare i dati. In compenso, se l’insulso progetto di un outlet per cittadini russi piazzato lì vicino procederà, diventeremo una provincia che Putin potrà annettere. Insomma, la gallina è diventata miope e altri faranno lo zabaione con le nostre uova. E - giuro - spero di sbagliare.
MARIANGELA PARADISI* ,* DOCENTE DI ECONOMIA ALL’UNIVERSITÀ POLITECNICA DELLE MARCHE,

Nessun commento: