giovedì 25 settembre 2008

"I Piccoli Comuni e il paesaggio delle Marche”


Convegno

Serra de’ Conti, (Fornace) sabato 27 settembre 2008

Ore 9,30

Introduzione:

Carlo Latini

Direttore Istituto Gramsci Marche

Comunicazioni:


  • Bruno Massi
  • Resp. Naz.le Piccoli comuni Legautonomie
  • La pianificazione urbanistica e territoriale: piccoli comuni e governo sovracomunale
  • Sagramola
  • Vice Presidente della Provincia di Ancona
  • Le azioni della Provincia per la tutela, il recupero e la valorizzazione del paesaggio

  • Renzi
  • Dirigente del settore Urbanistica della Provincia
  • Il ruolo di pianificazione urbanistica e territoriale della Provincia

  • Rosalba Ortenzi
  • Presidente IV Comm. del Consiglio Regionale
  • Una nuova legge urbanistica regionale per un efficace governo del territorio

  • Franco Frapiccini:
  • Portavoce Coordinamento regionale per la tutela del paesaggio
  • Il Paesaggio delle Marche: obiettivo prioritario di una politica progressista

  • Riccardo Picciafuoco
  • Tavolo tecnico del coordinamento regionale per la tutela del paesaggio
  • Le scelte discriminanti per qualificare la nuova legge urbanistica regionale

  • Enzo Pesciarelli
  • Presidente Istituto Gramsci Marche
  • Il paesaggio delle Marche come risorsa economica

  • Massimo Rossi
  • Presidente Provincia di Ascoli Piceno
  • Progetti sul Paesaggio e governo del territorio (l’esperienza in provincia di Ascoli Piceno)

  • Luigino Quarchioni
  • Segretario regionale Legambiente
  • Progetti e iniziative per la valorizzazione dei piccoli comuni e pere la tutela del paesaggio

  • Dibattito

  • Intervento conclusivo:
  • Raffaele Bucciarelli
  • Presidente del Consiglio Regionale


  • PS:
  • Il programma del Convegno è molto denso. Pensiamo di farlo durare dal mattino fino al primo pomeriggio (16.30/17.00). Ci sarà una breve pausa pranzo (prezzo euro 15,00) organizzata all’interno della struttura in cui si svolgerà il convegno.

mercoledì 10 settembre 2008

L'INFRASTRUTTURA NON FA LO SVILUPPO

L'infrastruttura non fa lo sviluppo diRomeo Danielis 05.06.2008 , pubblicato su www.lavoce.info

Si dice spesso che gli investimenti in infrastrutture di trasporto stimolino lo sviluppo economico e la competitività di un territorio. Ma la connessione è molto più problematica e incerta di quanto si pensi. Anche per la rilevanza dei fondi richiesti alla realizzazione delle opere. Per questo va ben valutato quali siano quelle da privilegiare. Soprattutto, gli investimenti devono essere coerenti tra di loro e con l'insieme delle politiche di trasporto adottate. E vanno esplicitati gli obiettivi che si vogliono raggiungere in termini di distribuzione modale.
Una tesi spesso avanzata dalle categorie imprenditoriali, e accolta solitamente con favore, in modo trasversale, a livello politico, è che gli investimenti in infrastrutture di trasporto stimolino lo sviluppo economico e la competitività di un territorio.L’argomentazione è la seguente. Il trasporto, essendo uno dei fattori della produzione, rappresenta un costo per le aziende. Gli investimenti infrastrutturali lo riducono abbassando i tempi necessari per le spedizioni e permettendo un risparmio di carburante per i veicoli. Le aziende sono quindi in grado di vendere i loro prodotti a prezzi più bassi. Questo stimola la domanda, consente un migliore sfruttamento delle economie di scala riducendo ulteriormente i costi: si attiva così un circolo virtuoso di crescita economica per le aziende e per il territorio. In realtà, la connessione tra infrastrutture di trasporto, sviluppo economico e competitività territoriale è molto più problematica e incerta di quanto comunemente si ritenga, sia sotto il profilo teorico sia sotto il profilo empirico.

IL LIVELLO MACROECONOMICO
Molteplici studi hanno cercato di misurare la relazione statistica tra investimento nei trasporti e crescita economica a livello macroeconomico. Nonostante diversi problemi definitori e statistici, autorevoli commentatori sono giunti alla conclusione che la relazione è positiva, ma modesta e fortemente dipendente dalla tipologia di investimento e dal livello preesistente di infrastrutture. (1) Nei paesi dell’Europa occidentale, già dotati di una rete infrastrutturale sviluppata, è assai probabile che il beneficio in termini di crescita economica sia molto limitato, dato il ridotto costo del trasporto sul valore complessivo del prodotto. Inoltre, il livello di indagine macroeconomico è utile ma insoddisfacente, in quanto è una “scatola nera” che non permette di capire attraverso quali canali di trasmissione un miglioramento della infrastruttura di trasporto esplichi i suoi benefici.

IL LIVELLO MICROECONOMICO
Tali canali sono invece meglio valutabili a livello microeconomico. Il principale effetto atteso da un miglioramento delle infrastrutture è la riduzione del costo generalizzato del trasporto. L’entità dipende naturalmente dalle specifiche condizioni preesistenti e dall’intervento infrastrutturale . Ma più che alla riduzione in sé, che potrebbe non avere effetti consistenti e durevoli - anche alla luce della bassa incidenza del costo di trasporto sul valore complessivo dei prodotti - l’attenzione degli studiosi si è concentrata su alcuni effetti indiretti, ritenuti potenzialmente più importanti, quali la riorganizzazione della logistica aziendale, l’accesso a un più ampio bacino di lavoro e l’effetto sul mercato immobiliare.La riorganizzazione della logistica aziendale, molto spesso incentrata su viaggi più frequenti con carichi ridotti per contenere i costi di magazzino, tende però a generare traffico indotto che rischia di compensare, parzialmente o integralmente, i risparmi di tempo resi possibili dal miglioramento infrastrutturale. Inoltre, se i costi ambientali non sono internalizzati, e quindi le aziende non li considerano nelle loro decisioni, esiste il rischio che i costi sociali possano risultare superiori ai benefici ottenutiAncora, la migliore accessibilità allarga i bacini di lavoro da cui le aziende possono attingere. Ciò può tradursi in un’offerta di lavoro più specializzata con effetti positivi sulla produttività, di cui potranno giovarsi le imprese accumulando maggiori profitti o i consumatori pagando prezzi più bassi. L’effetto sui salari è di ribasso per le aree che ricevono lavoratori e di rialzo per le aree che hanno lavoratori in uscita.Sui mercati immobiliari, in caso di vincoli all’espansione delle costruzioni, la maggiore accessibilità e il miglioramento di competitività territoriale può trasformarsi in un aumento delle rendite nelle aree più attrattive, che rischia di compensare i benefici competitivi generati dalle nuove infrastrutture di trasporto.

IL LIVELLO TERRITORIALE
Per identificare quale regione beneficerà degli investimenti infrastrutturali, è opportuno tener presente il cosiddetto problema della “strada a doppio senso”: quando i costi di trasporto sono alti, le aziende localizzate in una regione sono protette dalla concorrenza delle aziende situate al di fuori. La migliorata accessibilità non necessariamente favorisce le aziende regionali. Potrebbero risultare favorite quelle extra-regionali: saranno vincenti le imprese dotate di maggiori risorse (ad esempio, risorse naturali), con maggiori economie di scala, con un mercato locale di maggiori dimensioni, con una manodopera più qualificata a parità di retribuzione, con un costo dei terreni più basso e con una migliore integrazione a monte e a valle con fornitori e clienti. Non è quindi detto a priori che una regione meglio connessa riceva solo benefici dalla migliorata accessibilità né, tanto meno, che ne sia l’unico destinatario.In conclusione, data l’incertezza degli esiti e la rilevanza dei fondi che si destinano agli investimenti pubblici in infrastrutture di trasporto, in alternativa ad altri utilizzi, è bene che la discussione e le valutazioni siano rigorose e approfondite, identificando quali opere siano da privilegiare tenuto conto della organizzazione logistica preferita dalle imprese, delle criticità della rete di trasporto in termini di congestione e delle ricadute energetiche e ambientali di questa e del funzionamento dei trasporti.È necessario che gli investimenti infrastrutturali siano coerenti tra di loro e con l’insieme delle politiche di trasporto adottate e che siano chiaramente esplicitati gli obiettivi che si vogliono raggiungere in termini di distribuzione modale.
(1) Vedi Sactra “Transport and the economy: full report”, http://www.dft.gov.uk/pgr/economics/sactra/ e T. R. Lakshmanan e W. P. Anderson “Transportation Infrastructure, Freight Services Sector and Economic Growth”. A White Paper prepared for The US Department of Transportation. Federal Highway Administration, Boston University, gennaio 2002

Acuta riflessione controcorrente di una docente dell'Università Politecnica delle Marche sullo stato infrastrutturale delle Marche

Articolo comparso sul Corriere adriatico, 2-9-08

L’uovo, la gallina e lo zabaione

L’ETERNO dilemma dell’uovo o la gallina, nelle Marche è stato risolto. Non c’è dubbio. L’industrializzazione diffusa e la specializzazione in settori tradizionali - settori in cui le lavorazioni erano spesso svolte a domicilio - hanno indotto fin dagli anni Settanta una rete di trasporto stradale “su misura”. Siamo terzi in Italia per chilometri di strade locali ogni 100 mila abitanti (Il Sole24 Ore, 1 settembre). Scendiamo in graduatoria via via che le strade si fanno più grandi. Alle Marche, dunque, non sono servite. E il reticolo di strade che le ricopre ha avuto un grande vantaggio: un basso impatto ambientale. Insomma, è proprio il caso di dire che il nostro benamato modello di sviluppo ci ha almeno in parte preservato dallo scempio paesaggistico.Uno scempio inutile, tra l’altro. Da più parti è stato infatti dimostrato che l’infrastruttura stradale o di trasporto - di per sé - non fa sviluppo (Romeo Danielis; lavoce.info, 5 giugno 2008). L’infrastruttura, per esempio la famosa Quadrilatero, può infatti indurre effetti addirittura svantaggiosi per l’economia locale. Ad esempio, la riorganizzazione della logistica aziendale che - esauriti i positivi effetti di uno sviluppo distrettuale autoctono - va a vantaggio di luoghi lontani. Si importano più agevolmente prodotti e semilavorati, magari in quei luoghi fabbricati, senza che questo significativamente incida sulla competitività di lungo periodo delle imprese locali, come le recenti disavventure di alcune importanti imprese marchigiane dimostrano. Peggio ancora. In regime di vincoli alla espansione delle costruzioni, e grazie alla valorizzazione urbanistica, l’infrastruttura viaria certamente sostiene le rendite di quei pochi fortunati - o lungimiranti - proprietari che possiedono i terreni limitrofi. Un pesante costo sociale per le sperequazioni distributive che determina.Come sottolineato nel Libro Bianco presentato al Dipartimento dei Trasporti Usa (Lakshmanan-Anderson, Trasportation Infrastructure, Freight Service Sector and Economic Growth, gennaio, 2002), l’infrastruttura amplia poi il bacino da cui le imprese “pescano” manodopera. I salari nelle aree che la ricevono si ribassano, quelli delle aree che la cedono, crescono. Classico esempio, la Romania, ormai priva di lavoratori, dove i salari stanno rapidamente crescendo.La stessa migliore accessibilità alla zona può costituire un problema. Le imprese esterne, non più penalizzate da un’accessibilità difficoltosa, ne possono trarre grande vantaggio. Nel nostro piccolo, le vicende del porto di Ancona lo confermano: sempre più pattumiera dell’Adriatico grazie allo smistamento stradale di prodotti inquinanti e ad alto impatto ambientale. Si avvantaggiano le imprese esterne di maggiori dimensioni; quelle che godono di economie di scala, di più agevole accesso a risorse naturali e materie prime (si pensi alle imprese dei nostri settori tradizionali dei paesi dell’Est o emergenti), con maggiore disponibilità di manodopera a basso costo a parità di produttività. Insomma, costruire una nuova infrastruttura viaria, un aeroporto, un interporto, un porto a volte può significare non già sviluppo ma rapido declino dell’apparato produttivo dell’area. Pochi però, soprattutto tra i pubblici amministratori, sembrano rendersene conto. Il vecchio stereotipo dell’impresa anni Settanta e il ruolo inutilmente “industrialista” della politica è una cultura dura a morire.Declino possibile che invece potrebbe essere contrastato se i pubblici amministratori dalla favola delle strade che portano sviluppo o che snelliscono il traffico che - com’è stato dimostrato - invece sempre inducono, passassero a considerare il versante “benessere, costi sociali e sprechi collettivi”. Le Marche non godono di una rete ferroviaria appena accettabile: sedicesime nella graduatoria delle regioni italiane. E ciò significa alti costi per i cittadini e la collettività. Non esistono, né a livello locale né regionale, piani per la mobilità degni di questo nome. E il piano per i trasporti pubblici, recentemente presentato (6 giugno), è solo un puzzle che, come di consueto, mette qualche pezza qua e là. Siamo una regione tragicamente da sottosviluppo per la depurazione delle acque e la rete elettrica. Due misure di rilievo dei costi sociali. L’aeroporto è un costoso giocattolo inutile, a guardare i dati. In compenso, se l’insulso progetto di un outlet per cittadini russi piazzato lì vicino procederà, diventeremo una provincia che Putin potrà annettere. Insomma, la gallina è diventata miope e altri faranno lo zabaione con le nostre uova. E - giuro - spero di sbagliare.
MARIANGELA PARADISI* ,* DOCENTE DI ECONOMIA ALL’UNIVERSITÀ POLITECNICA DELLE MARCHE,