martedì 10 gennaio 2012

Ue, soldi ai contadini che salvano il paesaggio

da LaRerpubblica -09 gennaio 2012 — pagina 22 sezione: CRONACA


ROMA - L' Europa agricola gira pagina. Più soldi andranno a chi proteggerà il paesaggio rurale. A chi curerà i terrazzamenti, le siepi, gli stagni, i fossi, i filari di alberi. A chi, invece delle immense estensioni di solo grano o di solo mais, preferirà differenziare le colture e quindi la biodiversità. A chi farà dell' agricoltura un fronte per frenare i cambiamenti climatici. La svolta era nell' aria. Ora è nero su bianco nella bozza della nuova Pac (la Politica agricola comunitaria) messa a punto dalla Commissione europea e valida dal 2014 al 2020. Adesso comincia un faticoso lavorìo perché i singoli paesi proporranno aggiustamenti. La traccia resta però questa ed è chiara la prescrizione a praticare un' agricoltura che recupera metodi tradizionali a scapito di un' agricoltura industriale. «Stavolta, invece di una vaga esortazione, L' Europa investe fondi nella tutela del paesaggio, favorendo chi limita le emissioni di carbonio e i concimi chimici e contrastando un' agricoltura divoratrice di energia», spiega Mauro Agnoletti, professore alla Facoltà di Agraria di Firenze, fra i promotori di questa inversione di tendenza. La Pac destina in sette anni 400 miliardi di euro all' agricoltura comunitaria. 1 miliardo e 200 milioni ogni anno sono indirizzati a interventi agro-ambientali, il cosiddetto greening. Uno dei punti di svolta è l' incentivo a chi diversifica le colture. L' articolo 30 stabilisce che per accedere ai finanziamenti, ogni agricoltore che possiede oltre 3 ettari di superficie deve praticare almeno 3 diverse coltivazioni: chi possiede 100 ettari può seminarne a granturco, per esempio, non più del 70 per cento, il 15 deve destinarlo a pomodori o melanzane, il restante 15 a legumi o ad alberi da frutta. «L' Europa finanzia chi salvaguarda un mosaico paesaggistico complesso, che è una delle caratteristiche più apprezzate del paesaggio rurale italiano e che però nel nostro paese si è andata perdendo, si è semplificata e banalizzata, non solo a causa dell' espansione edilizia, ma anche per l' abbandono dei terreni, circa 130 mila ettari l' anno, e per l' incedere dei boschi, che aumentano di 80 mila ettari l' anno», aggiunge Agnoletti. L' Europa indica un' altra strada. Almeno il 7 per cento di ogni proprietà (recita l' articolo 32) deve essere costituito da "aree di interesse ecologico", che possono avere al loro interno terreni a riposo, terrazzamenti e altri "elementi caratteristici del paesaggio", che poi andranno definiti territorio per territorio, ma di cui la Commissione stila una prima lista: terrazzamenti, siepi, alberi in filare... «L' Italia dovrebbe includere altri elementi, come colture promiscue, viticoltura, olivicolturae frutticultura tradizionale», insiste Agnoletti. E poi vanno conservati i prati permanenti e le superfici per il pascolo, che in Italia sono diminuiti da 6 milioni (1861) a 3 milioni di ettari odierni. «È molto significativa l' attenzione ai terrazzamenti, che hanno caratterizzato per secoli il paesaggio italiano, dalla Valtellina alla Toscana alla costiera amalfitana», spiega Agnoletti. Laddove sono stati conservati, hanno anche impedito le frane, come in Liguria: «Per conto del Fai abbiamo condotto un' indagine nelle zone distrutte dall' alluvione di ottobre. Solo in 5 casi su 88 le frane hanno interessato terrazzamenti. Nel 95 per cento hanno investito terrazzi abbandonati e invasi da vegetazione arboreao arbustiva». - FRANCESCO ERBANI

L'ENERGIA CHE MANGIA LE CAMPAGNE

L' energia che mangia le campagne  di Carlo Petrini


28 luglio 2011 — pagina 33-34-35 da LaRepubblica

Agricoltura industriale. Riflettiamo sull' ossimoro. In suo nome, l' uomo ha pensato di poter produrre il cibo senza contadini, finendo con l' estrometterli dalle campagne. Oggi siamo addirittura arrivati all' idea che possano esserci campi coltivati senza produrre alimenti: agricoltura senza cibo. Agricoltura che, se si basa soltanto sul profitto e sulle speculazioni, riesce a rendere cattivo tutto ciò che può essere buono: il cibo, i terreni fertili (che sono sempre meno), ma anche l' energia pulita e rinnovabile. Come il fotovoltaico, come il biogas. S' è già parlato di come l' energia fotovoltaica possa diventare una macchina mangia-terreni e mangia-cibo. Se i pannelli fotovoltaici sono posati direttamente a terra e per grandi estensioni essi tolgono spazi alla produzione alimentaree desertificano i suoli fino a renderli inservibili. Allora bisogna dirlo chiaro: sì al fotovoltaico, ma sui tetti, nelle cave dismesse, lungo le strade. No a quello sul terreno libero. Adesso poi è il momento delle centrali a biogas che sfruttano le biomasse, valea dire liquami zootecnici, sfalci e altri vegetali. Questi materiali si mettono in un digestore, qui si genera gas che serve a produrre energia elettrica e ciò che avanza - il "digestato" adeguatamente trattato poi può essere utilizzato come ammendante per i terreni. Questi impianti sarebbero ideali per smaltire liquami (problema annoso di chi fa allevamento) e altri rifiuti biologici, integrando il reddito con una produzione di energia che può essere utilizzata in azienda o venduta. Se sono piccoli o ben calibrati rispetto al sistema chiuso dell' azienda agricola funzionano e sono una benedizione - esattamente come può fare il fotovoltaico sul tetto di un capannone o di una stalla. Ma se c' è di mezzo il business, se si fanno sotto gli investitori che fiutano affari e a cui non importa che l' agricoltura produca cibo e che lo faccia bene, allora il biogas può diventare una maledizione. Sta già succedendo in molte zone della Pianura Padana, soprattutto laddove ci sono forti concentrazioni di allevamenti intensivi. È una cosa che stanno denunciando alcune associazioni ambientaliste a livello localee per esempio da Slow Food Cremona mi segnalano che nella loro provincia ormai la situazione è sfuggita al controllo. Tant' è vero che hanno chiesto alla Provincia una moratoria sull' installazione e autorizzazione di nuove centrali a biogas. Che succede? Molti agricoltori, stremati dalla crisi generalizzata del settore, si trasformano in produttori di energia, smettendo di fare cibo. In pratica, si limitano a coltivare mais in maniera intensiva per farlo "digerire" dagli impianti a biogas. C' è anche chi lo fa solo in parte, ma sta di fatto che tutto quel mais non sarà mangiato dagli animali e quindi indirettamente neanche dagli umani. Gli investitori li aiutano, a volte li sfruttano. Esistono soccide in cui gli agricoltori sono pagati da chi ha costruito l' impianto per coltivare mais: sono diventati degli operai del settore energia, altro che contadini. Tutto è cominciato nel 2008 con la finanziaria che prevedeva un nuovo certificato verde "agricolo" per la produzione di energia elettrica con impianti di biogas alimentati da biomasse. Impianti "piccoli", di potenza elettrica non superiore a 1 Megawatt. Ma 1 Mw è tanto: ciò ha incentivato il business, perché a chi produce viene riconosciuta una tariffa di 28 cent/kWh, circa tre volte quanto si paga per l' energia prodotta "normalmente". Ecco allora che il sistema degli incentivi, cui si uniscono quelli europei per la produzione di mais, ha fatto sì che convenga costruire impianti grandie costosi (anche4 milioni di Euro), che possono essere ammortizzati in pochi anni. Soltanto nel cremonese nel 2007 c' erano 5 impianti autorizzati, oggi sono 130.E lì oggi si stima che il 25% delle terre coltivate sia a mais per biogas. In tutta la Lombardia si prevede che entro il 2013 dovrebbero esserci 500 impianti. Ci sarebbe da riflettere su quante volte un cittadino che versa anche le tasse arrivi a pagare quest' energia "pulita", ma l' emergenza è di altro tipo: così si minacciano l' ambiente e l' agricoltura stessa. Primo e lapalissiano: si smette di produrre cibo per produrre energia. Secondo: la monocoltura intensiva del mais è deleteria per i terreni perché deve fare largo uso di concimi chimici e consuma tantissima acqua, prelevata da falde acquifere sempre più povere e inquinate. Senza rotazioni sui terreni si compromette la loro fertilità e si favorisce la diffusione di parassiti come la diabrotica, da eliminare con un' ulteriore aggiunta di antiparassitari. (segue dalla copertina) Se il mais non è per uso alimentare, poi, sarà più facile mettere due dosi di tutto invece di una, senza farsi tanti scrupoli. Terzo: chi produce energia coltivando mais può permettersi di pagare affitti dei terreni molto più alti, anche fino a 1500 euro per ettaro, il che crea una concorrenza sleale nei confronti di chi invece ne ha bisogno per l' allevamento. È lo stesso fenomeno che si è creato con i parchi fotovoltaici, dunque sta piovendo sul bagnato. A chi alleva servono terreni soprattutto per rientrare nella "direttiva nitrati", che dovrebbe regolare lo smaltimento dei liquami in maniera sostenibile. Chiedete ai contadini e agli allevatori: i terreni non sono mai stati così costosi come oggi, e per un' azienda che già subisce i danni di un mercato drogato da speculazioni e imposizioni di prezzi bassi da parte del sistema distributivo può voler dire soltanto una cosa, la chiusura. Ma andiamo avanti. Quarto: gli impianti stessi, quelli da1 Mw, sono grandi strutture e per costruirle si consuma terreno agricolo sacrificandolo per sempre. Quinto: ci sono già le prime voci sulla nascita di un mercato nero di rifiuti biologici, come gli scarti dei macelli, venduti illegalmente per fare biogas. Non andrebbero mai utilizzati come biomasse, perché ciò che avanza dalla "digestione" poi viene sparso per i campi come ammendantee in questi casi oltre a inquinare potrebbe anche diffondere malattie. Il problema è la scala. Diciamo chiaramente che in sé il biogas da biomasse non avrebbe nessun difetto. Ma se è realizzato a fini speculativi ed è sovradimensionato, se fa produrre mais al solo scopo di metterlo nell' impianto, se fa alzare i prezzi del terreno, lo consuma e lo inquina, allora bisogna dire no, forte e chiaro. Da questo punto di vista sarà bene che le amministrazioni (comunali per impianti piccoli, provinciali per quelli più grandi) comincino a valutare i fini reali degli impianti prima di concedere autorizzazioni, e sicuramente questi problemi andranno affrontati e debellati con la nuova PAC, la politica agricola comune, che si è iniziata a discutere a Bruxelles. Da un punto di vista umano capisco gli agricoltori che hanno intravisto con il biogas un modo per risalire la china di un' agricoltura industriale sempre più in crisi. Ma sono sicuro che ci sono altri modi di fare agricoltura, più puliti, diversificati, che puntano alla vera qualità. Questa agricoltura può essere molto remunerativa e dare futuro ai giovani, mentre è soprattutto quella di stampo industriale che sta collassando. Inoltre, primao poi gli incentivi finiranno. Il biogas con grandi impianti è una pezza sporca che alcuni stanno mettendo alla nostra agricoltura malata, ottenendo l' effetto di darle così il colpo di grazia. Sarà molto difficile tornare indietro: i terreni fertili non si recuperano, le falde s' inquinano, la salubrità sparisce, chi fa buona agricoltura è costretto a smettere a causa di una concorrenza spietata e insostenibile. Agricoltura industriale, che ossimoro. - CARLO PETRINI